Come recuperare dopo l’infortunio: quanto e in che modo incide l’allenamento mentale.
Tutti noi sappiamo quanto la tolleranza del dolore sia fortemente influenzata da fattori psicologici e soggettivi: ossia dipende da come lo si valuta, a cosa lo si attribuisce e come si riesce a gareggiare convivendo con esso.
Anche la percezione del dolore cambia e cambia in base allo sport praticato: il nuotatore ha la sensazione che qualcuno lo spinga giù sulla schiena, il ciclista sente la corsa in salita, il giocatore di basket sente che la palla diventa di piombo, lo sciatore che le gambe diventano di cemento.
Inoltre non c’è sempre connessione fisica col dolore. Per esempio è possibile che non ci sia dolore anche se c’è una lesione, oppure che ci sia dolore anche se non c’è una lesione, o che il dolore sia lontano dalla posizione della lesione, o addirittura ci sia dolore in un arto amputato.
In sostanza, non tutte le persone sono colpite nello stesso modo dal dolore.
Esiste una forte interconnessione tra corpo e psiche (“embodied cognition”), per questo il dolore colpisce in modo soggettivo e per questo, se si vuole risolvere il dolore, occorre prima comprenderne il vissuto globale, aiutando l’atleta a riconoscere e attribuire il suo significato personale, al dolore: sfida, ingiustizia, perdita, impotenza; per poi accogliere le emozioni legate al dolore: paura, ansia, rabbia, tristezza.
La percezione del dolore nello sport può essere influenzata da diversi fattori:
- Dal tipo di dolore, intensità, andamento
- Dai determinanti culturali dell’atleta
- Dall’esperienza passata (quante volte ho provato dolore, poi è passato e non è successo nulla)
- Da fattori situazionali
- Da fattori psicologici: struttura di personalità, ansia, motivazione, attenzione, processi mnemonici.
Se dunque è vero che l’aspetto mentale influenza la percezione che abbiamo del dolore e se, come ampiamente dimostrato, le capacità mentali sono allenabili, come qualunque altra nostra parte del corpo, allora abbiamo ottime possibilità di recuperare bene, anche dopo un infortunio.
Come fare?
Per esempio iniziando ad allenare quelli che Trabucchi definisce i fattori della personalità resistente:
- OTTIMISMO (o aspettative di autoefficacia) «essere ottimisti significa non doversi nascondere le difficoltà ma accettare di affrontarle, con la fiducia che, in un modo o nell’altro se ne possa venire a capo»
- AUTOSTIMA «chi ha autostima alta ha maggiore disponibilità a raccogliere le sfide che vive come un’opportunità piuttosto che come possibilità di catastrofe»
- TOLLERANZA ALLA FRUSTRAZIONE «la capacità di sopportare e perseverare, di andare avanti per la propria strada.» Data dalla somma di due componenti: da un lato la capacità di sopportare le difficoltà e di dilazionare le gratificazioni; dall’altro la capacità, di fronte ad un ostacolo insuperabile, di perseverare adattando in maniera flessibile i propri obiettivi alla situazione.
- COMMITMENT«Ovvero autodisciplina, capacità di impegnarsi a fondo»
Il dolore legato all’infortunio
Se pensiamo al dolore legato all’infortunio, nello sport, facilmente lo associamo a vissuti di preoccupazione e talvolta anche disperazione; mai ci fermeremmo a pensarlo come un’opportunità. Eppure, a ben guardare, spesso accade che l’infortunio sia la risposta del nostro corpo a situazioni stressanti sottovalutate o addirittura negate e non riconosciute. Come se fosse l’ultimo estremo messaggio che ci avverte di rallentare e, in ultima istanza, ci costringe a fermarci, preservandoci da danni peggiori. Oppure può essere il risultato di una risposta ansiogena ad un evento percepito come stressante. Qualunque evento, perché l’ansia, che è sempre aspecifica, ossia generata potenzialmente da qualunque situazione o agente esterno, innesca nell’organismo, vere e proprie reazioni fisiologiche come l’aumento della tensione muscolare, del battito cardiaco, della pressione arteriosa, nonché una diminuzione dell’attenzione rispetto al compito, un crescente stato di confusione che inevitabilmente andranno ad inficiare sulla fluidità dei movimenti e del gesto tecnico e di conseguenza, sulla prestazione. Tutto questo aumenta la probabilità che si verifichi un infortunio.
Al fine di prevenire l’infortunio, diventa fondamentale tenere sotto controllo i livelli di stress e lavorare sulle strategie di coping, analizzando quali sono state le reazioni adottate in passato al fine di migliorarle e rendere l’atleta capace di rispondere, in modo efficace, alle richieste percepite come eccessive.
Non solo, attraverso l’allenamento mentale è possibile ridurre l’impatto psicologico dell’infortunio:
- supportando l’atleta nel mantenimento di un atteggiamento mentale orientato alla prestazione
- Aumentando self-confidence e durezza mentale
- Potenziando autoregolazione e skills specifiche
- Migliorando la capacità di controllo del dolore
- Riducendo la paura dell’infortunio
Adottare strategie di Mental Training porta ad un miglioramento della prestazione che, in certi casi può essere addirittura superiore a quella prevista da un andamento normale.
Sottovalutare l’impatto psicologico dell’infortunio e focalizzarsi solo sull’aspetto fisico, tralasciando quello mentale, rischia invece di innescare un processo autogenerante e distruttivo che può portare a incorrere nuovamente in situazioni di rischio future.
L’idea di non tornare ad essere più come prima, il ricordo e l’immagine mentale legati all’infortunio, rischiano di bloccare l’atleta e non consentirgli più di dare il massimo. Come se giocasse costantemente “in difesa”, sicuro che prima o poi l’evento traumatico si ripeterà, dà vita ad una sorta di profezia che si autoavvera.
Se, invece, imparerà ad allenare la mente, migliorerà il suo stato di benessere e diventerà un atleta e un uomo più resiliente.